mercoledì 11 maggio 2016

Promessi sposi: il primo romanzo italiano

INTRODUZIONE: 

Già lo scorso anno abbiamo visto che il romanzo è un genere narrativo in prosa -  come la novella e il racconto – contraddistinto da una certa ampiezza, tanto che la sua lettura richiede parecchio tempo.
Non si tratta solo di una questione di lunghezza tuttavia: un romanzo presenta una maggiore complessita’, soprattutto per quanto riguarda le vicende narrate e i personaggi.
Ora, i  Promessi sposi sono il primo romanzo della letteratura italiana.
Ai tempi in cui venne scritto, il genere romanzesco si era gia’ diffuso in altri paesi come l’Inghilterra e la Francia, anche se il primo romanzo moderno europeo non è francese ne’ inglese, ma spagnolo: il Don Chisciotte della Mancia (1605 ) di Miguel Cervantes.
In seguito a importanti modificazioni storiche e economiche tuttavia  fu in Francia e in Inghilterra che si sviluppo’ fortemente la borghesia,   e furono la Francia e l’Inghilterra i paesi nei quali  il romanzo divento’ un tipo di lettura molto gradito a questo nuovo pubblico, perche’ ne esprimeva i valori e la mentalita’:
·        attenzione per la vita quotidiana
·        narrazione di vicende soggettive
·        gusto dell’avventura, dei viaggi, delle scoperte,
·        attenzione per tutta la realta’, anche quella storica che si è modificata
·        assenza di regole formali  rigide (es. la prosa )  apertura alla sperimentazione che dà spazio alla creatività dell’autore e alle esigenze del nuovo pubblico
·        il linguaggio è di stile medio adatto alla sensibilità e alla cultura di un pubblico popolare
·        i temi sono molteplici: sentimentali, morali politici esistenziali e il romanzo puo’ esprimere un’immagine complessiva del mondo, una weltanschaung, che deriva non solo dal punto di vista dell’autore  ma dai diversi personaggi, dalla società che viene rappresentata, dai rapporti che vi si descrivono
Nel corso del Settecento e dell’Ottocento quindi  il romanzo si impone come un genere letterario nuovo, frutto dei tempi, con nuovi scrittori e nuovi lettori, contrapposto, ma di uguale dignita’ rispetto alle opere piu’ tradizionali appartenenti ai generi classici dell’epica, della lirica, della tragedia e commedia, della poesia satirica che entrano in crisi

CARATTERISTICHE TECNICHE 

Il narratore piu’ volte esterno, onnisciente, il punto di vista è mobile; frequentemente il narratore interviene nel racconto commentando ed esprimendo il suo punto di vista, fino a Flaubert che interrompe questa consuetudine aprendo al romanzo naturalista del secondo Ottocento
Gli indicatori spazio temporali sono molto precisi ; funzione della descrizione (non è un accompagnamento esornativo) ma finalizzate a produrre nel lettore  la precisa conoscenza dell’ambiente (=spazio tempo) in cui si muove il personaggio

NB: L’ambiente interagisce con i personaggi, li forma così come sono 


I PROMESSI SPOSI
Romanzo storico : Protagonista della storia : il Seicento, Lombardia /alcuni personaggi del romanzo sono storici (Cardinale Federico Borromeo, l'Innominato) / Nel romanzo ci sono sequenze  che sono una vera e propria trattazione storica,  alimentate dalle ricerche negli archivi e nelle biblioteche, da fonti che egli cita nel romanzo ( =  Historiarum patriae di Giuseppe Ripamonti (per la storia della conversione dell’Innominato o la storia della monaca di Monza)

Es. excursus sui bravi, le gride contro di loro, il malgoverno spagnolo,  la carestia del 1628, le problematiche legate al rincaro del pane, la rivolta del pane a Milano, il funzionamento della giustizia, la guerra e la calata dei Lanzichenecchi  : egli riporta vere e proprie citazioni dalle fonti storiche a cui si è ispirato


 perchè M. sceglie il formato del romanzo storico ? 


M. non inventa il genere del romanzo storico, reso già famoso dal successo di  Ivanhoe di Walter Scott (1820) (storia di un cavaliere nell’Inghilterra del XII sec. Riccardo cuor di leone) , che egli critica (nelle lettere e nel saggio 1850 Sul romanzo storico) perché poco rigoroso nella ricostruzione storica e troppo pieno di effetti romanzeschi, che allontanano il lettore dalla possibilità di dare credibilità alla storia


1) Possibilità di ricostruire un’epoca intera, un quadro del mondo, rispondere all’idea del vero come oggetto e di rendere la complessità della realtà


2) M. era un appassionato studioso di storia Discorso sopra alcuni punti della storia longobarda Saggi sulla rivoluzione francese e l’italiana del 1859 vedi attività saggistica : letteratura lingua/  storia / religione


3) Mentre la storia racconta di grandi personaggi, il romanzo storico permette di far agire in modo verosimile la massa, gli umili di cui la storia non parla mai (Verga Pasolini) invece nell’Adelchi ad essere protagonisti sono i sovrani (p.375)
Oltre alla dimensione storica, l’attenzione al vero nel romanzo diviene realismo, cioe’ volonta’ di rappresentare la realta’ nella sua  concretezza, senza deformazioni e compiacimenti: dopo lunghi e attenti studi nelle biblioteche e negli archivi Manzoni fu in grado di ricostruire attentamente con le parole oggetti e ambienti, rappresentare con precisione la gestualita’ e la psicologia dei suoi  personaggi, persino il loro linguaggio diviene realistico, perche’ l’autore riesce ad adattare il linguaggio e il registro espressivo di ciascun personaggio alla sua  psicologia e livello sociale, pur tenendo conto la sua scelta di esprimersi nel fiorentino correntemente parlato..



Manzoni anticipa il romanzo realista dell’Ottocento, in cui anche gli ultimi sono oggetto di narrazione Balzac Stendhal Dickens

Promessi sposi: La questione della lingua

La questione della lingua

La lingua letteraria dell’epoca manzoniana era in qualche modo derivata dal modello del volgare fiorentino utilizzato nella Firenze del Trecento da Dante, Petrarca e Boccaccio.
Se nei secoli del medioevo questo linguaggio si era rivelato uno strumento elegante e ricco di espressivita’, nell’Ottocento era divenuto ormai una lingua vecchia di cinquecento anni, aulica, compresa solo da una piccola elite di lettori estremamente colti, lingua che anche i letterati dovevano studiare come fosse una lingua straniera, inefficace ad esprimere il pensiero e la realta’ vissuta dalle persone di quel tempo.
Manzoni stesso, educato in ottimi collegi e cresciuto tra la Lombardia e la Francia, comunicava anche per iscritto o attraverso la lingua francese o il dialetto meneghino.
Inoltre per quanto riguarda la lingua parlata la penisola italiana non disponeva di una lingua “nazionale”, ma di molteplici “dialetti”, parlati nelle diverse regioni.
Manzoni era dunque uno scrittore che avvertiva con disagio l’anomalia  della situazione italiana: mentre i Francesi per scrivere usavano la stessa lingua con cui parlavano, gli “italiani” che provenivano da diverse regioni dovevano utilizzare il vocabolario della Crusca per intendersi tra loro.
Ricordiamo che il periodo storico in cui Manzoni vive è quello del Risorgimento, durante il quale si forma lo stato unitario d’Italia, progetto politico condiviso anche dal nostro scrittore. Quindi egli aveva un duplice progetto: 1) superare il distacco tra lingua scritta e parlata  2) trovare una lingua comunitaria, popolare e nazionale, da utilizzare in scritti rivolti ad un pubblico piu’ ampio.
In una lettera all’amico Claude Fauriel Manzoni scriveva sulla questione della lingua : “ Per nostra sventura lo stato dell’Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l’ignoranza quasi generale hanno posto tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta, che questa puo’ dirsi quasi lingua morta. Percio’ gli scrittori (….) non possono produrre l’effetto che si propongono, cioe’ erudire la moltitudine e di rendere le cose un po’ piu’ come dovrebbero essere”.
Vi faccio notare che per Manzoni cresciuto sotto lo stimolo delle idee illuministe, l’Arte non deve solo essere bella, ma avere anche una efficacia morale e sociale.
Fin dai primi decenni dell’Ottocento (1821-23) dunque Manzoni progetto’ di raccontare una vicenda in cui fossero protagonisti non solo “principi e potentati” ma anche “genti meccaniche e di picciol affare” e che potesse essere agevolmente compresa da un larghissimo pubblico di lettori. Da quel momento il problema della lingua divenne centrale nella stesura del romanzo e Manzoni fu sempre consapevole dell’estrema difficolta’ dell’impresa.
A partire da queste considerazioni possiamo comprendere come la stesura dei Promessi Sposi si sia caratterizzata anche come una operazione di sperimentazione linguistica importante per la storia della nostra lingua: potremmo chiamarla una lunga marcia verso il toscano.
Le fasi di questo processo linguistico si possono circoscrivere a tre momenti:
1° stesura del “Fermo e Lucia” (1821 -23) : la lingua utilizzata in questa edizione venne condannata impietosamente dallo stesso Manzoni che la defini’ “un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi e un po’ anche latine…”
Fallito il tentaivo di creare dal nulla una lingua a tavolino, artificiale, Manzoni si dedico’ ad un vero e proprio rifacimento del primo romanzo.
2°  l’edizione del 1827 – chiamata dai critici la “ventisettana”  - linguisticamente ha la caratteristica di sostituire molti vocaboli con quelli della lingua toscana, attraverso la consultazione di vocabolari: quello toscano-milanese del Cherubini, i sei volumi del vocabolario della Crusca  e attraverso la lettura di autori classici in toscano, come novellieri, cronisti, comici.
Servirsi di libri e vocabolari era tuttavia una operazione che presentava dei forti limiti per chi, come Manzoni aveva intenzione di avvicinare la lingua scritta con quella parlata, rendendola piu’ accessibile ad un pubblico piu’ vasto.
Cosi’ dall’agosto del 1827 Manzoni soggiorno’ per alcuni mesi in Toscana, per conoscere ed apprendere una lingua toscana d’uso piu’ quotidiano, una lingua parlata da persone toscane di medio livello culturale e sociale. Questo soggiorno verra’ chiamato da Manzoni “la risciacquatura dei panni in Arno”
3° l’edizione del 1840,  pubblicata in 108 dispense. La struttura del nuovo romanzo non presenta forti cambiamenti rispetto a quella del 1827: uguali rimangono il titolo, i nomi dei personaggi, il numero e il contenuto dei 38 capitoli. La famosa “risciacquatura” consistette in un adeguamento della lingua del romanzo all’uso del parlato medio toscano.
Questo significa che attraverso la permanenza a Firenze e una continua interlocuzione con toscani e toscane ( “si dice ancora questo o come si dice ora ? e come si direbbe quest’altro che noi esprimiamo cosi’ nel nostro dialetto?” ) Manzoni pote’ sostituire molti vocaboli di derivazione troppo dialettale e vocaboli troppo arcaici e letterari – che non avevano altra esistenza fuorche’ nei libri –  con termini appartenenti alla lingua parlata.
In questo modo Manzoni, gia’ negli anni 40’ propose agli abitanti della penisola il suo modello di lingua nazionale: il fiorentino moderno.
Il suo lavoro rimane una pietra miliare nella storia della nostra lingua, raggiungendo lo scopo  di avvicinare lo scritto al parlato.
La proposta di eleggere il fiorentino a lingua nazionale comune risulto’ invece astratta: l’unificazione di una lingua non puo’ avvenire attraverso l’imposizione di un modello, ma attraverso un processo di comunicazione tra le diverse regioni e gli strati sociali, che in Italia venne reso possibile solo a partire dall’unificazione politica.
Linguisticamente i PS si rivelano un’opera con una prosa molto realistica e viva, in cui frequente è il ricorso al discorso diretto. Spesso vi compaiono vocaboli ritenuti impoetici ( CASALE, COCUZZOLO, GIOGAIA,CIOTOLONI) che la tradizione letteraria precedente non utilizzava.
Nelle edizioni precedenti inoltre tutti i personaggi umili avevano una parlata fortemente caratterizzata in senso dialettale, mentre nell’edizione del 1840 c’è omologazione linguistica. Se il linguaggio di ciascun personaggio si differenzia è perche’ marca la sua psicologia: il linguaggio è arrogante in Don Rodrigo, ambiguo in Don Abbondio, irruento in Renzo, moderato in Lucia.

Promessi sposi: Un romanzo senza idillio

UN ROMANZO SENZA IDILLIO : un lieto fine problematico
Commento alla lettura di " Il sugo di tutta la storia "

Il matrimonio tanto ostacolato nel corso dell’ultima delle sei lunghe sequenze  puo’ essere celebrato: la peste ha ucciso il cattivo, sostituito da un signore piu’ ben disposto, Renzo ammalatosi e poi guarito ha trovato Lucia  nel lazzaretto e nonostante lei abbia fatto voto di rinunciare a lui i due si possono sposare

Come afferma il critico letterario Ezio Raimondi : Il lieto fine tuttavia non è completo, ma resta aperto, problematico : senza idillio. 
Niente di piu’ lontano dall’happy end che ci si aspetterebbe da un romanzo popolare

infatti il  racconto si prolunga per raccontarci la vita dei due giovani protagonisti  non priva di amarezze e difficoltà: il male non è vinto una volta per tutte, non tutto è risolto.

Mentre Renzo fa un elenco dei guadagni del suo percorso di formazione (un decalogo di cose da non fare) è per bocca di Lucia che le cose si complicano lasciando il marito senza  parole … il mistero dei destini umani viene esplicitato : "i guai io non sono andata a cercarli, essi capitano senza che se ne abbia colpa" 

NON ESISTE UN’ESISTENZA CHE NON SIA INSIDIATA DAL MALE NE’ ESISTE GARANZIA DELLA GIUSTIZIA:  la sofferenza, il male appartengono al destino dell’uomo

L'accadere del male rimane un mistero per l'uomo

Promessi sposi: Visione della storia e pessimismo manzoniano

VISIONE DELLA STORIA  e IL TEMA DELLA PROVVIDENZA

Alla base l’idea manzoniana della storia è profondamente pessimistica: cio’ che ogni individuo si trova a vivere è spesso una rassegna caotica di fatti violenti, di sorprusi e sopraffazioni, di  ingiustizie e oppressione.
La storia umana è un  teatro del Male, in cui regna la forza.
Cio’ è spiegabile con il fatto che -  come suggeriva a Manzoni la concezione giansenista - l’essere umano è ontologicamente malvagio, destinato a fare il male: l’uomo,  pur comprendendo la negatività del dolore e del male, continua a causarli per paura, per egoismo, per non soffrire, per aggiudicarsi il titolo di oppressore piuttosto che di oppresso.
A questa visione tragica e pessimistica non c’è via di uscita, tanto Adelchi, un personaggio tragico manzoniano, affermerà : Non resta che far torto  o patirlo
O vittime o carnefici, null’altra possibilita’.
Per questo molti protagonisti delle tragedie come Ermengarda o Adelchi, inorriditi dalla malvagità del mondo, non volendo essere oppressori, si abbandonano alla sofferenza e trovano conforto nella morte.
Nei PS tuttavia il pessimismo storico non lascia spazio alla sfiducia, alla disperazione, ma viene in qualche modo stemperato dall’idea che  anche nel Male ci siano un ordine, una logica e  per di piu’ positivi
Qual è questa logica ?
Ce la spiega Lucia nell’ VIII° capitolo. Lucia è un personaggio che anche nel momento in cui è costretta a mettersi in salvo, lasciando Renzo, la sua casa, il suo mondo, afferma convinta che “ Dio non toglie agli uomini una gioia, se non per prepararne loro una piu’ grande e piu’ certa”.
Lucia sa della Provvidenza. Dell’idea che gli eventi storici, gli accadimenti della vita di ciascuno, anche quelli tragici e dolorosi, soprattutto quelli, non avvengono a caso, ma in qualche modo, in un modo nascosto e oscuro, in un modo misterioso vengono da Dio e che Dio dirige i fatti verso un esito positivo, anche attraverso cio’ che è Male.                                                                                                
Manzoni è convinto che a nulla servono i piani degli uomini, siano essi umili o potenti: i loro piani puntualmente falliscono, spesso miseramente, sortendo l'effetto contrario a quello voluto se essi non sono capaci di abbandonarsi ai piani del divino, se non sanno assecondarli.
La visione  provvidenzialistica della storia non è un concetto facile da comprendere e ancor piu’ difficile puo’ esserlo condividerlo, ma questa è la “tesi” che Manzoni intende dimostrare: i disagi, le sofferenze di Lucia e Renzo hanno uno scopo positivo che solo Dio sa. Il progetto di Dio non è comprensibile dalla mente umana.
Con questa visione anche il Male, che spesso non riusciamo ad accettare, diviene un elemento sempre difficile da accogliere ma dotato di un senso: è come un  passaggio stretto attraverso cui è necessario passare, per andare oltre, verso qualcosa di meglio.
Il dolore che gli uomini soffrono a causa delle ingiustizie/oppressioni non può mai essere disperato se si ripone fiducia nella provvidenza divina.
Fra Cristoforo è un personaggio che, come Lucia,  sa della Provvidenza, sa di non essere altro che uno strumento della volontà divina. Quando decide di farsi frate pensa che in fondo il duello, l’omicidio del nobile arrogante, il convento dei Cappuccini in cui ha trovato rifugio,  non sono altro che situazioni che Dio gli ha messo davanti per provocare la sua trasformazione e renderlo frate. E accetta. Nella scena del perdono- nel cap. V – persino il fratello dell’ucciso afferma: “ tutto accade per disposizione di Dio”
Ovviamente per il Manzoni un uomo o una donna non non devono attendere passivamente inattivi il compimento della provvidenza. Essi devono, in qualche modo, aiutare Dio, con il loro comportamento quotidiano, non lo devono intralciare.
Anzi l’etica manzoniana è un’etica militante: tutto il contrario di quanto non faccia Don Abbondio che rinuncia alla lotta per paura e per egoismo  



mercoledì 6 aprile 2016

Pirandello

Per concludere su Pirandello a M219 - 221 viene presentata la poetica dell'umorismo, che possiamo affermare sia il compito dell'intellettuale, ciò che resta da fare nella sua visione del mondo e dell'umano.

Una delle caratteristiche dell'umorismo, secondo Pirandello, è la riflessione, che permette di passare dalla semplice percezione della disarmonia e stranezza alla comprensione di ciò che la origina.
Pirandello chiama il comico " avvertimento del contrario" (di una stranezza, di qualcosa che non va) , che provoca il riso superficiale,  distinguendolo dal "sentimento del contrario", l'umorismo appunto, che suscita sì il sorriso ma anche la compassione, la partecipazione e la pietà dello spettatore, capace di comprendere il dramma che sta dietro a tanti comportamenti umani.

 Ecco un passo fondamentale del saggio sull'Umorismo del 1908, a titolo di esempio

Ebbene, noi vedremo che nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile, non resta cioè quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira; ma gli si pone innanzi, da giudice; lo analizza, spassionandosene; ne scompone l’immagine; da questa analisi però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge o spira: quello che potrebbe chiamarsi, e che io difatti chiamo il sentimento del contrario. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario
Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.

giovedì 3 marzo 2016

EUGENIO MONTALE

Non vado alla ricerca della poesia, attendo di esserne visitato. Scrivo poco, con pochi ritocchi, quando mi pare di non poterne fare a meno

TEMI :
il male di vivere  ( sul testo M475 e per il correlativo oggettivo M474):  "Spesso il male di vivere"  
la funzione della poesia e il ruolo del poeta (sul testo pag. M473) " Non chiederci la parola" 
il mistero della esistenza, il varco (sul testo M477) : I limoni" 
il fantasma salvifico (sul testo M475) : " Nuove stanze"
lo stile poetico  tra classicismo e innovazione (appunti e sul testo M479) :  " Meriggiare pallido e assorto" 

L’opera in versi:
Ossi di seppia 1925
Occasioni 1939
La bufera e altro 1956
Satura    anni sessanta
Diario del 71 e 72
Quaderno di quattro anni del 77
Altri versi 1980

IL MALE DI VIVERE     il tema della sua poesia : la condizione umana
L’argomento della mia poesia (e credo di ogni possibile poesia) è sempre stata la condizione umana
e non questo o quell’altro avvenimento storico, anche se egli non si è estraniato dalla realtà del suo tempo ( nel 1925 firma il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce, nel 1938 perde l’impiego di Firenze per non essersi iscritto al partito fascista e vivendo fino alla fine della guerra poveramente di traduzioni e collaborazioni culturali, è costretto a pubblicare le sue raccolte poetiche in modo clandestino) ma non ha scambiato l’essenziale con il transitorio.
per questo non ha mai aderito a nessuno schieramento ideologico, deludendo soprattutto la critica marxista che dopo Occasioni si aspettavano un impegno civile attivo del poeta nella ricostruzione del dopoguerra.

Argomento principale della sua poesia è la disarmonia con la realtà, che M. dichiara di aver sentito fin da bambino: è una condizione strutturale, cosmica, leopardiana, universale non solamente storica e individuale.

Il male di vivere montaliano riprende un’espressione francese le mal de vivre, che troppo facilmente viene identificata con quello che gli antichi chiamavano TAEDIUM VITAE o ACCIDIA o MELANCHONIA e i moderni DEPRESSIONE.
E’ un disagio esistenziale sperimentato da chi vivendo sente la morsa dei lacci che gli impediscono di essere libero (il rivo strozzato bloccato nel suo scorrere da un ostacolo)
L’esistenza come prigione il muro- (cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe)
di esprimersi autenticamente (la foglia riarsa accartocciata) di comprendere fino in fondo il significato e la direzione della propria esistenza. Il disagio diviene alla fine un essere vinto dal peso della vita, vera e propria sofferenza e dolore ( il cavallo stramazzato)

Chiaramente il tema è leopardiano ( la vita è male) ma è ancora piu’ radicale, piu’ pesante da sopportare come condizione perché non confortata dalla certezza di essere nella verità (della ragione) = agli uomini non è data la possibilità di penetrare a pieno il mistero dell’esistenza

Questo tema domina la prima raccolta delle sue poesie Ossi di seppia del 1925, anno politicamente simbolico in cui ha inizio la dittatura fascista, quasi un romanzo di formazione.
Il nome deriva da una raccolta di poesie di D’Annunzio Alcyone quindi potrebbe indicare un oggetto leggero, che galleggia sulle onde lasciandosi trasportare dalla corrente(vitalismo energia)
In Montale è piuttosto un oggetto morto, insignificante, inutile, abbandonato sulla spiaggia, rifiutato dal male, scarnificato fino all’essenziale come le sue immagini e il suo stile poetico, come il paesaggio ligure(roccioso scabro assolato battuto dai venti e dalle onde) che fa da sfondo a quasi tutte le liriche.

Utilizzo di immagini concrete, di oggetti per esprimere concetti astratti come Dante (il rivo che gorgoglia è in Inf. VII la palude Stigia gorgoglia per i lamenti degli iracondi che contiene) = CORRELATIVO OGGETTIVO


IL RUOLO DEL POETA E DELLA POESIA : “ Non chiederci la parola”

Il testo è un’evidente dichiarazione di poetica in negativo,
Montale propone al lettore una poesia che non è piu’ (come invece in leopardi) uno strumento di conoscenza dell’individuo e del mondo.
Montale ci dice che la sua poesia NON chiarisce l’enigma dell’interiorità umana, indicibile e senza forma, NON sa spiegare le ragioni della disarmonia con il mondo né chiarire il senso del vivere, NON ha certezze da rivelare e la consapevolezza di cio’ costituisce l’unico messaggio dei suoi versi.
In un frangente storico e culturale particolare, come quello dell’Italia fascista e dell’intera Europa dei totalitarismi degli anni venti, che hanno smarrito le antiche certezze ed sono attraversate da una profonda crisi morale e culturale, contro l’enfasi e le certezze delle ideologie fascista e marxista, ilpoeta non puo’ che dire la verità: con parole asciutte e sofferte (qualche storta sillaba e secca),attraverso un linguaggio scabro ed essenziale, antiretorico testimoniare la problematicità della condizione umana.
La posizione monta liana di (apparente) sfiducia nella parola poetica di insignificanza della funzione del poeta colpisce ancora di piu’ se messa in relazione con l’immagine di poeta-veggente che svela mondi nascosti che ne aveva il decadentismo ( es. Pascoli) o quella del poeta vate (= sacerdote), una guida capace di mostrare la via alla nazione, che in quegli anni D’Annunzio incarnava, poeta per lungo tempo vicino alle posizioni superoministiche e dalla retorica roboante del fascismo.
E’ quindi anche una presa di posizione di aperta critica politica.


LA FIGURA FEMMINILE

alla figura femminile, viene affidato un ruolo salvifico = il fantasma che salva (in un clima storico dominato dall’orrore della guerra imminente e dall’avvento dei fascismi europei la donna è mediatrice tra l’hic et nunc e l’altra orbita, è visiting angel portatrice di un messaggio che proviene da un altrove (Montale la chiama cristofora, è un baluardo contro la follia del mondo) che la avvicina alla donna stilnovista.

l’incontro con la donna-angelo - raro imprevisto eccezionale - è l’esperienza che del divino è permesso agli uomini : in quell’attimo tutto è più intenso, è uno stato di grazia
- non viene mai descritta nella sua figura intera ma per particolari e attributi (la frangia dei capelli, le ali, gli orecchini ) anzi ha bisogno che la figura femminile non abbia fisicità
- è inarrivabile irraggiungibile, appartiene alla memoria o è lontana dal poeta; Annetta è morta giovane, Clizia è in America
- il ruolo del poeta nei suoi confronti è quello di essere all’altezza di accogliere il messaggio di cui essa è portatrice
- il messaggio che Clizia porta è quello di uno stato di grazia

La donna è Irma Brandeis, una ebrea americana studiosa di letteratura italiana che lascio’ l'Italia nel 1938 in seguito alla promulgazioni delle leggi razziali
Lui poi la chiamerà Clizia che nella mitologia greca il dio Apollo trasforma in un girasole che si volge sempre verso il sole, ma Apollo è dio della poesia e lei puo’ essere sentita come una allegoria della cultura umanistica, della poesia

LA POSSIBILITA’ DEL VARCO E L'EPIFANIA DEL SENSO: “I limoni”

1) Ancora una dichiarazione di poetica: il poeta si esclude dalla cerchia dei poeti laureati alla maniera dannunziana, sacerdoti della tradizione letteraria che cantano grandi ideali in modo altisonante e retorico. Si discosta anche dalla poesia simbolista a lui precedente (es. Pascoli fino ad Ungaretti) che riconosceva alla musicalità della poesia la capacità di attingere all’essenza profonda della realtà, di dare voce al mistero del mondo.
Montale predilige realtà impoetiche, come le pozzanghere, i muri scalcinati, i polverosi prati
2) l’esperienza del varco oltre la prigione delle catene, oltre il muro delle apparenze
Un momento di discesa in un rapporto armonioso con il paesaggio nei luoghi dimessi della periferia e la percezione dell’odore dei limoni portano il poeta a credere per una frazione di secondo che la natura lasci trapelare qualcosa, un indizio, un segno, una verità sul senso dell’esistenza umana, un aldilà nella catena delle apparenze di cui il reale si compone.
La verità del mondo che per un attimo sembra mostrarsi non è una verità raggiunta attraverso la ragione, non è trascendente ma è forse piuttosto intuibile attraverso un rapporto percettivo con la natura ( il silenzio e l’odore dei limoni)
L’esperienza dell’imminente epifania di un senso si rivela un’illusione, è destinata allo scacco e l’esistenza riprende ad essere accompagnata dal tedio e dalla mediocrità del vivere quotidiano.
Tuttavia basta un casuale sguardo sul giallo dei limoni perché, memore di quell’esperienza di vicinanza al senso in quel tardo pomeriggio di tempo prima, il poeta avverta d’improvviso uno scoppio di gioia rappresentata con il correlativo oggettivo dei limoni


giovedì 18 febbraio 2016

Per Montale

Indicazioni per la preparazione della lezione di venerdì su Eugenio Montale:

Appunti dalla biografia  dell'autore M469 - M473
e appunti dal video  al link
https://www.youtube.com/watch?v=pL8xOqq-ldA
(L. Boneschi su Montale  1^ parte)


PS Il materiale è stato postato per sbaglio sul blog di un'altra classe, come avevo dichiarato,  martedì pomeriggio.
Faccio notare che al disagio si poteva ovviare avvisandomi nella stessa giornata, tramite la rappresentante di classe, come è accaduto oggi.
Chi non avesse la possibilità di svolgere il lavoro in giornata recupererà per la lezione di lunedì, ma ci sarà anche altro materiale.

A venerdì