mercoledì 11 maggio 2016

Promessi sposi: La questione della lingua

La questione della lingua

La lingua letteraria dell’epoca manzoniana era in qualche modo derivata dal modello del volgare fiorentino utilizzato nella Firenze del Trecento da Dante, Petrarca e Boccaccio.
Se nei secoli del medioevo questo linguaggio si era rivelato uno strumento elegante e ricco di espressivita’, nell’Ottocento era divenuto ormai una lingua vecchia di cinquecento anni, aulica, compresa solo da una piccola elite di lettori estremamente colti, lingua che anche i letterati dovevano studiare come fosse una lingua straniera, inefficace ad esprimere il pensiero e la realta’ vissuta dalle persone di quel tempo.
Manzoni stesso, educato in ottimi collegi e cresciuto tra la Lombardia e la Francia, comunicava anche per iscritto o attraverso la lingua francese o il dialetto meneghino.
Inoltre per quanto riguarda la lingua parlata la penisola italiana non disponeva di una lingua “nazionale”, ma di molteplici “dialetti”, parlati nelle diverse regioni.
Manzoni era dunque uno scrittore che avvertiva con disagio l’anomalia  della situazione italiana: mentre i Francesi per scrivere usavano la stessa lingua con cui parlavano, gli “italiani” che provenivano da diverse regioni dovevano utilizzare il vocabolario della Crusca per intendersi tra loro.
Ricordiamo che il periodo storico in cui Manzoni vive è quello del Risorgimento, durante il quale si forma lo stato unitario d’Italia, progetto politico condiviso anche dal nostro scrittore. Quindi egli aveva un duplice progetto: 1) superare il distacco tra lingua scritta e parlata  2) trovare una lingua comunitaria, popolare e nazionale, da utilizzare in scritti rivolti ad un pubblico piu’ ampio.
In una lettera all’amico Claude Fauriel Manzoni scriveva sulla questione della lingua : “ Per nostra sventura lo stato dell’Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l’ignoranza quasi generale hanno posto tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta, che questa puo’ dirsi quasi lingua morta. Percio’ gli scrittori (….) non possono produrre l’effetto che si propongono, cioe’ erudire la moltitudine e di rendere le cose un po’ piu’ come dovrebbero essere”.
Vi faccio notare che per Manzoni cresciuto sotto lo stimolo delle idee illuministe, l’Arte non deve solo essere bella, ma avere anche una efficacia morale e sociale.
Fin dai primi decenni dell’Ottocento (1821-23) dunque Manzoni progetto’ di raccontare una vicenda in cui fossero protagonisti non solo “principi e potentati” ma anche “genti meccaniche e di picciol affare” e che potesse essere agevolmente compresa da un larghissimo pubblico di lettori. Da quel momento il problema della lingua divenne centrale nella stesura del romanzo e Manzoni fu sempre consapevole dell’estrema difficolta’ dell’impresa.
A partire da queste considerazioni possiamo comprendere come la stesura dei Promessi Sposi si sia caratterizzata anche come una operazione di sperimentazione linguistica importante per la storia della nostra lingua: potremmo chiamarla una lunga marcia verso il toscano.
Le fasi di questo processo linguistico si possono circoscrivere a tre momenti:
1° stesura del “Fermo e Lucia” (1821 -23) : la lingua utilizzata in questa edizione venne condannata impietosamente dallo stesso Manzoni che la defini’ “un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi e un po’ anche latine…”
Fallito il tentaivo di creare dal nulla una lingua a tavolino, artificiale, Manzoni si dedico’ ad un vero e proprio rifacimento del primo romanzo.
2°  l’edizione del 1827 – chiamata dai critici la “ventisettana”  - linguisticamente ha la caratteristica di sostituire molti vocaboli con quelli della lingua toscana, attraverso la consultazione di vocabolari: quello toscano-milanese del Cherubini, i sei volumi del vocabolario della Crusca  e attraverso la lettura di autori classici in toscano, come novellieri, cronisti, comici.
Servirsi di libri e vocabolari era tuttavia una operazione che presentava dei forti limiti per chi, come Manzoni aveva intenzione di avvicinare la lingua scritta con quella parlata, rendendola piu’ accessibile ad un pubblico piu’ vasto.
Cosi’ dall’agosto del 1827 Manzoni soggiorno’ per alcuni mesi in Toscana, per conoscere ed apprendere una lingua toscana d’uso piu’ quotidiano, una lingua parlata da persone toscane di medio livello culturale e sociale. Questo soggiorno verra’ chiamato da Manzoni “la risciacquatura dei panni in Arno”
3° l’edizione del 1840,  pubblicata in 108 dispense. La struttura del nuovo romanzo non presenta forti cambiamenti rispetto a quella del 1827: uguali rimangono il titolo, i nomi dei personaggi, il numero e il contenuto dei 38 capitoli. La famosa “risciacquatura” consistette in un adeguamento della lingua del romanzo all’uso del parlato medio toscano.
Questo significa che attraverso la permanenza a Firenze e una continua interlocuzione con toscani e toscane ( “si dice ancora questo o come si dice ora ? e come si direbbe quest’altro che noi esprimiamo cosi’ nel nostro dialetto?” ) Manzoni pote’ sostituire molti vocaboli di derivazione troppo dialettale e vocaboli troppo arcaici e letterari – che non avevano altra esistenza fuorche’ nei libri –  con termini appartenenti alla lingua parlata.
In questo modo Manzoni, gia’ negli anni 40’ propose agli abitanti della penisola il suo modello di lingua nazionale: il fiorentino moderno.
Il suo lavoro rimane una pietra miliare nella storia della nostra lingua, raggiungendo lo scopo  di avvicinare lo scritto al parlato.
La proposta di eleggere il fiorentino a lingua nazionale comune risulto’ invece astratta: l’unificazione di una lingua non puo’ avvenire attraverso l’imposizione di un modello, ma attraverso un processo di comunicazione tra le diverse regioni e gli strati sociali, che in Italia venne reso possibile solo a partire dall’unificazione politica.
Linguisticamente i PS si rivelano un’opera con una prosa molto realistica e viva, in cui frequente è il ricorso al discorso diretto. Spesso vi compaiono vocaboli ritenuti impoetici ( CASALE, COCUZZOLO, GIOGAIA,CIOTOLONI) che la tradizione letteraria precedente non utilizzava.
Nelle edizioni precedenti inoltre tutti i personaggi umili avevano una parlata fortemente caratterizzata in senso dialettale, mentre nell’edizione del 1840 c’è omologazione linguistica. Se il linguaggio di ciascun personaggio si differenzia è perche’ marca la sua psicologia: il linguaggio è arrogante in Don Rodrigo, ambiguo in Don Abbondio, irruento in Renzo, moderato in Lucia.

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