mercoledì 11 maggio 2016

Promessi sposi: il primo romanzo italiano

INTRODUZIONE: 

Già lo scorso anno abbiamo visto che il romanzo è un genere narrativo in prosa -  come la novella e il racconto – contraddistinto da una certa ampiezza, tanto che la sua lettura richiede parecchio tempo.
Non si tratta solo di una questione di lunghezza tuttavia: un romanzo presenta una maggiore complessita’, soprattutto per quanto riguarda le vicende narrate e i personaggi.
Ora, i  Promessi sposi sono il primo romanzo della letteratura italiana.
Ai tempi in cui venne scritto, il genere romanzesco si era gia’ diffuso in altri paesi come l’Inghilterra e la Francia, anche se il primo romanzo moderno europeo non è francese ne’ inglese, ma spagnolo: il Don Chisciotte della Mancia (1605 ) di Miguel Cervantes.
In seguito a importanti modificazioni storiche e economiche tuttavia  fu in Francia e in Inghilterra che si sviluppo’ fortemente la borghesia,   e furono la Francia e l’Inghilterra i paesi nei quali  il romanzo divento’ un tipo di lettura molto gradito a questo nuovo pubblico, perche’ ne esprimeva i valori e la mentalita’:
·        attenzione per la vita quotidiana
·        narrazione di vicende soggettive
·        gusto dell’avventura, dei viaggi, delle scoperte,
·        attenzione per tutta la realta’, anche quella storica che si è modificata
·        assenza di regole formali  rigide (es. la prosa )  apertura alla sperimentazione che dà spazio alla creatività dell’autore e alle esigenze del nuovo pubblico
·        il linguaggio è di stile medio adatto alla sensibilità e alla cultura di un pubblico popolare
·        i temi sono molteplici: sentimentali, morali politici esistenziali e il romanzo puo’ esprimere un’immagine complessiva del mondo, una weltanschaung, che deriva non solo dal punto di vista dell’autore  ma dai diversi personaggi, dalla società che viene rappresentata, dai rapporti che vi si descrivono
Nel corso del Settecento e dell’Ottocento quindi  il romanzo si impone come un genere letterario nuovo, frutto dei tempi, con nuovi scrittori e nuovi lettori, contrapposto, ma di uguale dignita’ rispetto alle opere piu’ tradizionali appartenenti ai generi classici dell’epica, della lirica, della tragedia e commedia, della poesia satirica che entrano in crisi

CARATTERISTICHE TECNICHE 

Il narratore piu’ volte esterno, onnisciente, il punto di vista è mobile; frequentemente il narratore interviene nel racconto commentando ed esprimendo il suo punto di vista, fino a Flaubert che interrompe questa consuetudine aprendo al romanzo naturalista del secondo Ottocento
Gli indicatori spazio temporali sono molto precisi ; funzione della descrizione (non è un accompagnamento esornativo) ma finalizzate a produrre nel lettore  la precisa conoscenza dell’ambiente (=spazio tempo) in cui si muove il personaggio

NB: L’ambiente interagisce con i personaggi, li forma così come sono 


I PROMESSI SPOSI
Romanzo storico : Protagonista della storia : il Seicento, Lombardia /alcuni personaggi del romanzo sono storici (Cardinale Federico Borromeo, l'Innominato) / Nel romanzo ci sono sequenze  che sono una vera e propria trattazione storica,  alimentate dalle ricerche negli archivi e nelle biblioteche, da fonti che egli cita nel romanzo ( =  Historiarum patriae di Giuseppe Ripamonti (per la storia della conversione dell’Innominato o la storia della monaca di Monza)

Es. excursus sui bravi, le gride contro di loro, il malgoverno spagnolo,  la carestia del 1628, le problematiche legate al rincaro del pane, la rivolta del pane a Milano, il funzionamento della giustizia, la guerra e la calata dei Lanzichenecchi  : egli riporta vere e proprie citazioni dalle fonti storiche a cui si è ispirato


 perchè M. sceglie il formato del romanzo storico ? 


M. non inventa il genere del romanzo storico, reso già famoso dal successo di  Ivanhoe di Walter Scott (1820) (storia di un cavaliere nell’Inghilterra del XII sec. Riccardo cuor di leone) , che egli critica (nelle lettere e nel saggio 1850 Sul romanzo storico) perché poco rigoroso nella ricostruzione storica e troppo pieno di effetti romanzeschi, che allontanano il lettore dalla possibilità di dare credibilità alla storia


1) Possibilità di ricostruire un’epoca intera, un quadro del mondo, rispondere all’idea del vero come oggetto e di rendere la complessità della realtà


2) M. era un appassionato studioso di storia Discorso sopra alcuni punti della storia longobarda Saggi sulla rivoluzione francese e l’italiana del 1859 vedi attività saggistica : letteratura lingua/  storia / religione


3) Mentre la storia racconta di grandi personaggi, il romanzo storico permette di far agire in modo verosimile la massa, gli umili di cui la storia non parla mai (Verga Pasolini) invece nell’Adelchi ad essere protagonisti sono i sovrani (p.375)
Oltre alla dimensione storica, l’attenzione al vero nel romanzo diviene realismo, cioe’ volonta’ di rappresentare la realta’ nella sua  concretezza, senza deformazioni e compiacimenti: dopo lunghi e attenti studi nelle biblioteche e negli archivi Manzoni fu in grado di ricostruire attentamente con le parole oggetti e ambienti, rappresentare con precisione la gestualita’ e la psicologia dei suoi  personaggi, persino il loro linguaggio diviene realistico, perche’ l’autore riesce ad adattare il linguaggio e il registro espressivo di ciascun personaggio alla sua  psicologia e livello sociale, pur tenendo conto la sua scelta di esprimersi nel fiorentino correntemente parlato..



Manzoni anticipa il romanzo realista dell’Ottocento, in cui anche gli ultimi sono oggetto di narrazione Balzac Stendhal Dickens

Promessi sposi: La questione della lingua

La questione della lingua

La lingua letteraria dell’epoca manzoniana era in qualche modo derivata dal modello del volgare fiorentino utilizzato nella Firenze del Trecento da Dante, Petrarca e Boccaccio.
Se nei secoli del medioevo questo linguaggio si era rivelato uno strumento elegante e ricco di espressivita’, nell’Ottocento era divenuto ormai una lingua vecchia di cinquecento anni, aulica, compresa solo da una piccola elite di lettori estremamente colti, lingua che anche i letterati dovevano studiare come fosse una lingua straniera, inefficace ad esprimere il pensiero e la realta’ vissuta dalle persone di quel tempo.
Manzoni stesso, educato in ottimi collegi e cresciuto tra la Lombardia e la Francia, comunicava anche per iscritto o attraverso la lingua francese o il dialetto meneghino.
Inoltre per quanto riguarda la lingua parlata la penisola italiana non disponeva di una lingua “nazionale”, ma di molteplici “dialetti”, parlati nelle diverse regioni.
Manzoni era dunque uno scrittore che avvertiva con disagio l’anomalia  della situazione italiana: mentre i Francesi per scrivere usavano la stessa lingua con cui parlavano, gli “italiani” che provenivano da diverse regioni dovevano utilizzare il vocabolario della Crusca per intendersi tra loro.
Ricordiamo che il periodo storico in cui Manzoni vive è quello del Risorgimento, durante il quale si forma lo stato unitario d’Italia, progetto politico condiviso anche dal nostro scrittore. Quindi egli aveva un duplice progetto: 1) superare il distacco tra lingua scritta e parlata  2) trovare una lingua comunitaria, popolare e nazionale, da utilizzare in scritti rivolti ad un pubblico piu’ ampio.
In una lettera all’amico Claude Fauriel Manzoni scriveva sulla questione della lingua : “ Per nostra sventura lo stato dell’Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l’ignoranza quasi generale hanno posto tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta, che questa puo’ dirsi quasi lingua morta. Percio’ gli scrittori (….) non possono produrre l’effetto che si propongono, cioe’ erudire la moltitudine e di rendere le cose un po’ piu’ come dovrebbero essere”.
Vi faccio notare che per Manzoni cresciuto sotto lo stimolo delle idee illuministe, l’Arte non deve solo essere bella, ma avere anche una efficacia morale e sociale.
Fin dai primi decenni dell’Ottocento (1821-23) dunque Manzoni progetto’ di raccontare una vicenda in cui fossero protagonisti non solo “principi e potentati” ma anche “genti meccaniche e di picciol affare” e che potesse essere agevolmente compresa da un larghissimo pubblico di lettori. Da quel momento il problema della lingua divenne centrale nella stesura del romanzo e Manzoni fu sempre consapevole dell’estrema difficolta’ dell’impresa.
A partire da queste considerazioni possiamo comprendere come la stesura dei Promessi Sposi si sia caratterizzata anche come una operazione di sperimentazione linguistica importante per la storia della nostra lingua: potremmo chiamarla una lunga marcia verso il toscano.
Le fasi di questo processo linguistico si possono circoscrivere a tre momenti:
1° stesura del “Fermo e Lucia” (1821 -23) : la lingua utilizzata in questa edizione venne condannata impietosamente dallo stesso Manzoni che la defini’ “un composto indigesto di frasi un po’ lombarde, un po’ toscane, un po’ francesi e un po’ anche latine…”
Fallito il tentaivo di creare dal nulla una lingua a tavolino, artificiale, Manzoni si dedico’ ad un vero e proprio rifacimento del primo romanzo.
2°  l’edizione del 1827 – chiamata dai critici la “ventisettana”  - linguisticamente ha la caratteristica di sostituire molti vocaboli con quelli della lingua toscana, attraverso la consultazione di vocabolari: quello toscano-milanese del Cherubini, i sei volumi del vocabolario della Crusca  e attraverso la lettura di autori classici in toscano, come novellieri, cronisti, comici.
Servirsi di libri e vocabolari era tuttavia una operazione che presentava dei forti limiti per chi, come Manzoni aveva intenzione di avvicinare la lingua scritta con quella parlata, rendendola piu’ accessibile ad un pubblico piu’ vasto.
Cosi’ dall’agosto del 1827 Manzoni soggiorno’ per alcuni mesi in Toscana, per conoscere ed apprendere una lingua toscana d’uso piu’ quotidiano, una lingua parlata da persone toscane di medio livello culturale e sociale. Questo soggiorno verra’ chiamato da Manzoni “la risciacquatura dei panni in Arno”
3° l’edizione del 1840,  pubblicata in 108 dispense. La struttura del nuovo romanzo non presenta forti cambiamenti rispetto a quella del 1827: uguali rimangono il titolo, i nomi dei personaggi, il numero e il contenuto dei 38 capitoli. La famosa “risciacquatura” consistette in un adeguamento della lingua del romanzo all’uso del parlato medio toscano.
Questo significa che attraverso la permanenza a Firenze e una continua interlocuzione con toscani e toscane ( “si dice ancora questo o come si dice ora ? e come si direbbe quest’altro che noi esprimiamo cosi’ nel nostro dialetto?” ) Manzoni pote’ sostituire molti vocaboli di derivazione troppo dialettale e vocaboli troppo arcaici e letterari – che non avevano altra esistenza fuorche’ nei libri –  con termini appartenenti alla lingua parlata.
In questo modo Manzoni, gia’ negli anni 40’ propose agli abitanti della penisola il suo modello di lingua nazionale: il fiorentino moderno.
Il suo lavoro rimane una pietra miliare nella storia della nostra lingua, raggiungendo lo scopo  di avvicinare lo scritto al parlato.
La proposta di eleggere il fiorentino a lingua nazionale comune risulto’ invece astratta: l’unificazione di una lingua non puo’ avvenire attraverso l’imposizione di un modello, ma attraverso un processo di comunicazione tra le diverse regioni e gli strati sociali, che in Italia venne reso possibile solo a partire dall’unificazione politica.
Linguisticamente i PS si rivelano un’opera con una prosa molto realistica e viva, in cui frequente è il ricorso al discorso diretto. Spesso vi compaiono vocaboli ritenuti impoetici ( CASALE, COCUZZOLO, GIOGAIA,CIOTOLONI) che la tradizione letteraria precedente non utilizzava.
Nelle edizioni precedenti inoltre tutti i personaggi umili avevano una parlata fortemente caratterizzata in senso dialettale, mentre nell’edizione del 1840 c’è omologazione linguistica. Se il linguaggio di ciascun personaggio si differenzia è perche’ marca la sua psicologia: il linguaggio è arrogante in Don Rodrigo, ambiguo in Don Abbondio, irruento in Renzo, moderato in Lucia.

Promessi sposi: Un romanzo senza idillio

UN ROMANZO SENZA IDILLIO : un lieto fine problematico
Commento alla lettura di " Il sugo di tutta la storia "

Il matrimonio tanto ostacolato nel corso dell’ultima delle sei lunghe sequenze  puo’ essere celebrato: la peste ha ucciso il cattivo, sostituito da un signore piu’ ben disposto, Renzo ammalatosi e poi guarito ha trovato Lucia  nel lazzaretto e nonostante lei abbia fatto voto di rinunciare a lui i due si possono sposare

Come afferma il critico letterario Ezio Raimondi : Il lieto fine tuttavia non è completo, ma resta aperto, problematico : senza idillio. 
Niente di piu’ lontano dall’happy end che ci si aspetterebbe da un romanzo popolare

infatti il  racconto si prolunga per raccontarci la vita dei due giovani protagonisti  non priva di amarezze e difficoltà: il male non è vinto una volta per tutte, non tutto è risolto.

Mentre Renzo fa un elenco dei guadagni del suo percorso di formazione (un decalogo di cose da non fare) è per bocca di Lucia che le cose si complicano lasciando il marito senza  parole … il mistero dei destini umani viene esplicitato : "i guai io non sono andata a cercarli, essi capitano senza che se ne abbia colpa" 

NON ESISTE UN’ESISTENZA CHE NON SIA INSIDIATA DAL MALE NE’ ESISTE GARANZIA DELLA GIUSTIZIA:  la sofferenza, il male appartengono al destino dell’uomo

L'accadere del male rimane un mistero per l'uomo

Promessi sposi: Visione della storia e pessimismo manzoniano

VISIONE DELLA STORIA  e IL TEMA DELLA PROVVIDENZA

Alla base l’idea manzoniana della storia è profondamente pessimistica: cio’ che ogni individuo si trova a vivere è spesso una rassegna caotica di fatti violenti, di sorprusi e sopraffazioni, di  ingiustizie e oppressione.
La storia umana è un  teatro del Male, in cui regna la forza.
Cio’ è spiegabile con il fatto che -  come suggeriva a Manzoni la concezione giansenista - l’essere umano è ontologicamente malvagio, destinato a fare il male: l’uomo,  pur comprendendo la negatività del dolore e del male, continua a causarli per paura, per egoismo, per non soffrire, per aggiudicarsi il titolo di oppressore piuttosto che di oppresso.
A questa visione tragica e pessimistica non c’è via di uscita, tanto Adelchi, un personaggio tragico manzoniano, affermerà : Non resta che far torto  o patirlo
O vittime o carnefici, null’altra possibilita’.
Per questo molti protagonisti delle tragedie come Ermengarda o Adelchi, inorriditi dalla malvagità del mondo, non volendo essere oppressori, si abbandonano alla sofferenza e trovano conforto nella morte.
Nei PS tuttavia il pessimismo storico non lascia spazio alla sfiducia, alla disperazione, ma viene in qualche modo stemperato dall’idea che  anche nel Male ci siano un ordine, una logica e  per di piu’ positivi
Qual è questa logica ?
Ce la spiega Lucia nell’ VIII° capitolo. Lucia è un personaggio che anche nel momento in cui è costretta a mettersi in salvo, lasciando Renzo, la sua casa, il suo mondo, afferma convinta che “ Dio non toglie agli uomini una gioia, se non per prepararne loro una piu’ grande e piu’ certa”.
Lucia sa della Provvidenza. Dell’idea che gli eventi storici, gli accadimenti della vita di ciascuno, anche quelli tragici e dolorosi, soprattutto quelli, non avvengono a caso, ma in qualche modo, in un modo nascosto e oscuro, in un modo misterioso vengono da Dio e che Dio dirige i fatti verso un esito positivo, anche attraverso cio’ che è Male.                                                                                                
Manzoni è convinto che a nulla servono i piani degli uomini, siano essi umili o potenti: i loro piani puntualmente falliscono, spesso miseramente, sortendo l'effetto contrario a quello voluto se essi non sono capaci di abbandonarsi ai piani del divino, se non sanno assecondarli.
La visione  provvidenzialistica della storia non è un concetto facile da comprendere e ancor piu’ difficile puo’ esserlo condividerlo, ma questa è la “tesi” che Manzoni intende dimostrare: i disagi, le sofferenze di Lucia e Renzo hanno uno scopo positivo che solo Dio sa. Il progetto di Dio non è comprensibile dalla mente umana.
Con questa visione anche il Male, che spesso non riusciamo ad accettare, diviene un elemento sempre difficile da accogliere ma dotato di un senso: è come un  passaggio stretto attraverso cui è necessario passare, per andare oltre, verso qualcosa di meglio.
Il dolore che gli uomini soffrono a causa delle ingiustizie/oppressioni non può mai essere disperato se si ripone fiducia nella provvidenza divina.
Fra Cristoforo è un personaggio che, come Lucia,  sa della Provvidenza, sa di non essere altro che uno strumento della volontà divina. Quando decide di farsi frate pensa che in fondo il duello, l’omicidio del nobile arrogante, il convento dei Cappuccini in cui ha trovato rifugio,  non sono altro che situazioni che Dio gli ha messo davanti per provocare la sua trasformazione e renderlo frate. E accetta. Nella scena del perdono- nel cap. V – persino il fratello dell’ucciso afferma: “ tutto accade per disposizione di Dio”
Ovviamente per il Manzoni un uomo o una donna non non devono attendere passivamente inattivi il compimento della provvidenza. Essi devono, in qualche modo, aiutare Dio, con il loro comportamento quotidiano, non lo devono intralciare.
Anzi l’etica manzoniana è un’etica militante: tutto il contrario di quanto non faccia Don Abbondio che rinuncia alla lotta per paura e per egoismo